Liliana e Alberto Segre
Era il 1938 e avevo allora otto anni, quando mio papà mi
disse che non avrei più potuto andare a scuola perché io ero una bambina ebrea
e come tale lo stato non mi voleva più nelle sue scuole accanto agli altri bambini
non ebrei. Fu uno choc, un pugno nello stomaco.
Una sensazione, innaturale per una bambina di pochi anni, mi accompagnò per lungo tempo: ero stata respinta dal mondo che mi circondava e che avevo sempre creduto amico. Per cinque anni fu una progressione continua di limitazioni man mano che leggi razziali venivano applicate e io leggevo sui visi dei miei cari l'umiliazione e anche la tristezza profonda di essere considerati cittadini di serie B dopo essere stati italiani onesti per secoli e anche fedeli ufficiali nella prima guerra mondiale.
Una sensazione, innaturale per una bambina di pochi anni, mi accompagnò per lungo tempo: ero stata respinta dal mondo che mi circondava e che avevo sempre creduto amico. Per cinque anni fu una progressione continua di limitazioni man mano che leggi razziali venivano applicate e io leggevo sui visi dei miei cari l'umiliazione e anche la tristezza profonda di essere considerati cittadini di serie B dopo essere stati italiani onesti per secoli e anche fedeli ufficiali nella prima guerra mondiale.
Liliana nel 1943, prima della deportazione
Fui sola, a tredici anni, nelle carceri di Varese e di Como, poi a San Vittore con mio papà.
Fui con lui su quel treno che deportò noi e altri 650 disgraziati fino ad Auschwitz.
Fu un'esperienza eccezionale, fu l'ultima settimana delle nostre vite con i nostri cari (non lo sapevamo, naturalmente), ma c'era in noi la consapevolezza grave di vivere un momento estremo, passati come bestie in un carro merci.
Quel viaggio fu segnato da tre momenti: prima si sentì soprattutto piangere disperatamente, poi, in una seconda fase, i più fortunati pregarono, infine ci fu una terza fase, per me quella più essenziale, la fase del silenzio, un silenzio solenne e importante: era la massima
comunicazione fra persone che si
amavano tanto. Poi fu l'arrivo e la separazione atroce.
Un gruppo di SS decideva della vita e della morte di ognuno. Da quel momento fui sola: fino a quell'istante, in cui lasciai per sempre la mano di mio papà, la mia identità era stata quella di figlia; capivo confusamente nella disperata solitudine che seguì, che dovevo costruirmi una nuova identità.
Ero sola, rapata, infreddolita, affamata, ero sola! Non capivo la lingua degli aguzzini e non capivo la maggior parte delle lingue parlate dalle altre prigioniere. Non avevo una spalla su cui piangere, tutto intorno a me era orrore, mi era impossibile capire dove ero capitata e perché, ero sola. Cercai allora di rifugiarmi in un mondo fantastico, mi dicevo che non ero io quella che era lì, cercavo di non vedere e di non sentire.
Un gruppo di SS decideva della vita e della morte di ognuno. Da quel momento fui sola: fino a quell'istante, in cui lasciai per sempre la mano di mio papà, la mia identità era stata quella di figlia; capivo confusamente nella disperata solitudine che seguì, che dovevo costruirmi una nuova identità.
Ero sola, rapata, infreddolita, affamata, ero sola! Non capivo la lingua degli aguzzini e non capivo la maggior parte delle lingue parlate dalle altre prigioniere. Non avevo una spalla su cui piangere, tutto intorno a me era orrore, mi era impossibile capire dove ero capitata e perché, ero sola. Cercai allora di rifugiarmi in un mondo fantastico, mi dicevo che non ero io quella che era lì, cercavo di non vedere e di non sentire.
Delle ragazze fraancesi che erano lì da 15 giorni ci spiegarono
cos’era quell’odore di bruciato che permeava sul campo: è l’odore della carne
bruciata, perché qui gasano e poi bruciano nei forni. Noi ci guardavamo l’una
con l’altra e tra noi pensavamo che quelle erano pazze, ma che cosa stanno
dicendo che qui bruciano le persone. Ci mostrarono la ciminiera in fondo
al campo dicendoci che lì bruciavano le persone e dicendoci che si chiamava
crematorio. Noi non volevamo credere loro, ma poi ci spiegarono perché la neve
era grigia e c’era la cenere, che eravamo diventate schiave e che per un sì o
per un no potevamo andare anche noi al gas.
Liliana Segre (Milano, 10 settembre 1930) è un'attivista e politica italiana, superstite dell'Olocausto e attiva testimone della Shoah italiana.
Il il 30 geenaio 1944 venne deportata dal Binario 21 della Stazione Centrale di Milanao al campodi concentramento di Auschwitz.Birkenau dopo sette giorni di viaggio. Fu subito separata dal padre, che non rivide mai più e che sarebbe morto il successivo 27 aprile. A maggio anche i suoi nonni paterni furono arrestati ,deportati ad Auschwitz e uccisi al loro arrivo. Alla selezione, Liliana ricevette il numero di matricola 75190, che le venne tatuato sull'avambraccio. Fu messa per circa un anno ai lavori forzati presso la fabbrica di munizioni Union, che apparteneva alla Siemens. Durante la sua prigionia subì altre tre selezioni. Alla fine del gennaio 1945, dopo l'evacuazione del campo, affrontò la marcia verso la Germania. Venne liberata il I maggio 1945 nel campo di Malchow a Ravensbruck dall'armata rossa. Dei 776 bambini italiani deportati ad Auschwitz, Liliana Segre fu tra i 25 sopravvissuti.
Al rientro nell'Italia liberata, visse inizialmente con gli zii e poi con i nonni materni, di origini marchigiane, unici superstiti della sua famiglia. Nel 1951 si sposò con l'avvocato Alfredo Belli Pace ed ebbero tre figli.Per molti anni Liliana Segre non ha mai voluto parlare pubblicamente della sua esperienza nei campi di concentramento: al suo ritorno pareva che nessuno volesse ascoltarla; preferivano non sapere. Dal 1990 ha iniziato la sua infaticabile attività di divulgazione della sua esperienza di sopravvissuta, partecipando a molti incontri con gli studenti e convegni di ogni tipo, convinta che l’indifferenza sia peggiore della violenza. È Presidente del comitato per le Pietre d'inciampo - Milano, che raccoglie tutte le associazioni legate alla memoria della Resistenza, delle deportazioni e dell'antifascismo. Nel 2008 ha ricevuto la laurea honoris causa in Giurisprudenza dall'università degli Studi di Trieste e nel 2010 quella in Scienze pedagogiche dall'università degli Studi di Verona. Nel 2018 è stata nominata senatrice a vita dal presidente della Repubblica S. Mattarella per aver illustrato la Patria con altissimi meriti nel campo sociale.
Al rientro nell'Italia liberata, visse inizialmente con gli zii e poi con i nonni materni, di origini marchigiane, unici superstiti della sua famiglia. Nel 1951 si sposò con l'avvocato Alfredo Belli Pace ed ebbero tre figli.Per molti anni Liliana Segre non ha mai voluto parlare pubblicamente della sua esperienza nei campi di concentramento: al suo ritorno pareva che nessuno volesse ascoltarla; preferivano non sapere. Dal 1990 ha iniziato la sua infaticabile attività di divulgazione della sua esperienza di sopravvissuta, partecipando a molti incontri con gli studenti e convegni di ogni tipo, convinta che l’indifferenza sia peggiore della violenza. È Presidente del comitato per le Pietre d'inciampo - Milano, che raccoglie tutte le associazioni legate alla memoria della Resistenza, delle deportazioni e dell'antifascismo. Nel 2008 ha ricevuto la laurea honoris causa in Giurisprudenza dall'università degli Studi di Trieste e nel 2010 quella in Scienze pedagogiche dall'università degli Studi di Verona. Nel 2018 è stata nominata senatrice a vita dal presidente della Repubblica S. Mattarella per aver illustrato la Patria con altissimi meriti nel campo sociale.
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