Hannah nacque ad Hannover nel 1906 da famiglia ebrea e morì a New Y0rk nel 1975). Studiò filosofia a Marburgo con Martin Heidegger e con lui ebbe una relazione finchè questi non mostrò simpatia per il nazismo. si trasferì poi all'università di Heidelberg dove si laureò con una tesi su Sant'Agostino. Nel 1929 sposò il filosofo Gunther Anders, da cui si separò nel 1937. Successivamente lasciò la Germania per Parigi, dove aiutò gli esuli ebrei fuggiti dalla Germania nazista. Dopo l'occupazione tedesca della Francia e l' inizio delle deportazioni degli ebrei verso i campi di concentramento, Hannah Arendt nel 1940 con il marito Henrich Blucher, poeta e filosofo tedesco, emigrò (assieme a sua madre) negli USA con l'aiuto del giornalista statunitense Varian Fry. Qui divenne attivista nella comunità ebraica tedesca d New York, e scrisse per il periodico in lingua tedesca Aufbau. Tra il 1960 e il 1962 seguì il processo di Adolf Eichmann, dal quale prese spunto per scrivere La banalità del male.
Nel 2012 esce il film sulla sua vita per la regia di Margarethe von Trotta.
Dopo aver assistito al processo al nazista Adolf Eichmann, svoltosi a Gerusalemme, la Arendt osò scrivere dell’Olocausto con parole che non si erano mai sentite prima. Il suo lavoro provocò immediatamente uno scandalo, ma la Arendt non ritrattò, nonostante gli attacchi di amici e nemici. In quanto ebrea tedesca emigrata, lei aveva difficoltà a recidere i suoi legami dolorosi con il passato e il film mette in mostra il suo affascinante mix di arroganza e vulnerabilità, rivelando un’anima formata e sconvolta dall’esilio .La pellicola mostra Hannah Arendt (Barbara Sukowa) nel corso dei quattro anni (dal 1961 al 1964), in cui assiste, scrive e sopporta la reazione nei confronti del suo lavoro sul processo al criminale di guerra nazista Adolf Eichmann. Osservando la Arendt mentre partecipa al processo, rimanendo al suo fianco mentre viene contestata dai suoi critici e sostenuta da una ristretta cerchia di amici fedeli, avvertiamo l’intensità di questa donna ebrea forte, fuggita dalla Germania nazista nel 1933. Un’accanita fumatrice e una donna orgogliosa, la Arendt è felice e ha successo in America, ma la sua visione penetrante la rende un’outsider dovunque vada. Quando scopre che il Servizio segreto israeliano ha rapito Adolf Eichmann a Buenos Aires e lo ha portato a Gerusalemme, è determinata a raccontare il processo. William Shawn (Nicholas Woodeson), responsabile della rivista New Yorker, è eccitato di avere una stimata intellettuale a occuparsi di questo processo storico, ma il marito della Arendt, Heinrich Blücher (Axel Milberg), non condivide questo suo entusiasmo. Lui è preoccupato che questo incontro riporterà la sua amata Hannah a quelli che entrambi definiscono i “tempi oscuri”. La Arendt entra in questo infuocato tribunale di Gerusalemme aspettandosi di vedere un mostro, ma invece scopre una nullità. La sciatta mediocrità di quest’uomo non coincide con la profonda malvagità delle sue azioni, ma capisce rapidamente che questo contrasto è proprio l’enigma che bisogna risolvere. Ritornata a New York, iniziando a comunicare la sua interpretazione rivoluzionaria di Adolf Eichmann, la paura si impadronisce del suo migliore amico, Hans Jonas (Ulrich Noethen). Lui la mette in guardia, dicendole che il suo approccio filosofico genererà soltanto confusione. Ma la Arendt difende il suo punto di vista coraggioso e originale, convincendo Heinrich a sostenerla in questo percorso. Dopo due anni di pensieri intensi, ulteriori letture e dibattiti con la sua migliore amica americana, Mary McCarthy (Janet McTeer), il ricercatore e amico tedesco, Lotte Köhler (Julia Jentsch) e, ovviamente, un confronto costante con Heinrich, consegna finalmente il manoscritto. La pubblicazione dell’articolo sul New Yorker provoca immediatamente uno scandalo negli Stati Uniti e in Israele, per poi estendersi al resto del mondo. HANNAH ARENDT fornisce uno sguardo sull’importanza profonda delle sue idee, ma è soprattutto la commovente possibilità di capire il cuore.
(dal web)
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